Le donne fra competizione e solidarietà: e tu dove stai? Ottobre 6, 2020 – Pubblicato in: Psicologia della vita quotidiana

Chi non ricorda il “conflitto tra Eva, una ragazza di provincia alla ricerca del successo, e la grande attrice Margo, magistralmente rappresentato nel film di Joseph L. Mankiewicz del 1950 Eva contro Eva? Mascherando la propria invidia dietro un’ipocrita e innocente dedizione, Eva si insinua nella vita di Margo e trama sotterraneamente per rubarle tutto ciò che ha: il talento, il successo, l’amore del suo uomo. Essa mette in atto un processo mimetico in cui tenta con ogni mezzo di diventare come l’altra. A sua volta Margo, l’invidiata, quando capisce il gioco della ragazza, reagisce con stizza, isterismo, autocommiserazione. Essa teme di essere spodestata dalla bellezza e dalla gioventù dell’altra e, come la regina di Biancaneve, si guarda continuamente allo specchio nell’ossessiva ricerca di conferme. Infine, Eva raggiungerà l’obiettivo, sia pure al prezzo della disapprovazione di tutti, e Margo si ritirerà in buon ordine rinfrancata dall’amore fedele del suo uomo. Vero e proprio simbolo dell’invidia femminile, il film ne mette in scena le molteplici sfumature: l’ambivalenza tra ammirazione e risentimento, il desiderio mimetico di essere come l’altra, la dissimulazione e l’ipocrisia, il miscuglio tra invidia e gelosia, la paura di perdere la supremazia. Esso ci rivela inoltre, e questo è forse l’aspetto più incisivo, che l’invidia è sempre gravida di se stessa: un’altra ragazza, infatti, Phoebe, alla fine si insinuerà nella vita di Eva per tramare contro di lei come questa ha fatto con Margo. Niente potrebbe essere più eloquente della scena conclusiva nella quale Phoebe, che indossa gli abiti di Eva, ne imita i gesti di fronte a un gioco di specchi che ne moltiplica l’immagine…
E allora? Che ne è delle conquiste del femminismo e di quella solidarietà in cui abbiamo intensamente creduto? Siamo destinate, sempre e malgrado tutto, a rivaleggiare tra noi? Indubbiamente non possiamo abbassare il livello di guardia di fronte all’invidia. La vediamo reinsinuarsi soprattutto nelle situazioni in cui sono le donne a gestire il potere, punctum dolens su cui si sofferma Donatella Borghesi in Specchio, specchio delle mie brame. Temiamo, infatti, le donne di potere, diffidiamo di loro, le subiamo, le invidiamo, appunto; e per placare il tumulto dei nostri sentimenti siamo spinte spesso e volentieri a svalutarle e detronizzarle…
Eppure, nonostante tutto questo, c’è fra le donne una tensione solidale che forse trova origine proprio in quello specialissimo rapporto tra madre e figlia … cioè nella percezione di far parte di una genealogia materna che ci connette l’una all’altra e nella quale scriviamo la trama singolare delle nostre vite. È un desiderio di appartenenza che permane, come una sorta di dono ancestrale, e che resiste ai colpi delle passioni distruttive…
Consapevoli della necessità di una rivoluzione permanente, le donne sanno di volta in volta ricostruire spazi di condivisione mobilitandosi in tante direzioni: nella lotta contro una violenza sempre in agguato e per la difesa di una legge, per l’affermazione delle pari opportunità e per la denuncia di un sopruso, o per fondare un’associazione di tutela dei diritti, insomma nei vari ambiti del sociale. Ancora una volta costrette a forme di umiliazione che le schiacciano attualmente tra gli opposti estremi del «velo» e della «velina», esse sanno ritrovare, insieme, la forza dell’indignazione contro una cultura che vede Oriente e Occidente assolutamente complici nella svalutazione e nel dominio del femminile. Ma c’è anche una solidarietà più profonda e più intima che agisce sotterraneamente, in virtù di una sorta di tacito e reciproco riconoscimento, come qualcosa di dato per il solo fatto di essere donna. Quando raccontiamo la nostra vita privata a una sconosciuta incontrata in treno, o incrociamo lo sguardo complice di una collega dudurante un noioso convegno accademico; quando soffriamo con l’amica abbandonata dal marito e ne stimoliamo l’autoironia, o trasformiamo in una festa una piccola riunione improvvisata; quando siamo capaci di sorridere delle gerarchie e di creare una comunicazione orizzontale che si fa beffe dei ruoli e si appassiona agli obiettivi. Allora ci riconosciamo e ci apparteniamo, godendo di quell’empatia immediata che forse è davvero il privilegio esclusivo delle donne e che forse costituisce, per loro (per noi), il più potente antidoto all’invidia.”

E. Pulcini