Intimità e sessualità femminile dopo la malattia Gennaio 17, 2018 – Pubblicato in: Psiconcologia

Affrontare un tumore non è mai facile, e per una donna particolarmente, soprattutto quando la malattia colpisce organi legati alla sfera sessuale o riproduttiva (come nel caso dei tumori ginecologici e del tumore al seno).

Improvvisamente ci si trova a dover gestire non solo la paura della malattia e dei trattamenti necessari alla guarigione, ma anche le inevitabili conseguenze sull’immagine corporea, che possono abbassare l’autostima, nonché le inevitabili conseguenze sulla sfera sessuale e sull’equilibrio della vita di coppia.

Premessa: Il corpo della donna e il vissuto psico-sociale.

Per secoli, e in parte ancora oggi, lo spazio riservato alla donna e al suo essere corporeo, è stato ricavato all’interno del nucleo familiare, con una specifica riguardante il “come” deve essere e “come” dovrebbe idealmente comportarsi. Quindi uno spazio, un corpo e un comportamento declinati in base ad aspettative socio-familiari che rispondesse a prospettive di riproduzione, accudimento e sopravvivenza del nucleo familiare stesso. Un ruolo importante certo, ma che si portava dietro una mortificazione del corpo “naturale”, in quanto legato principalmente all’oggettivazione dei desideri della società, dell’uomo, del padre ecc. Oggi, in occidente la relazione uomo-donna si è modificata in virtù di una emancipazione del femminile e di una ricerca paritaria della comunicazione fra i due sessi; inoltre il peso sociale del contributo femminile si è ampliato includendo anche la donna nella forza-lavoro e vedendola anche come generatrice e fruitrice di cultura.

La donna vede così la sua posizione e realizzazione nell’ambito socio-familiare maggiormente equilibrata, almeno per ciò che riguarda i diritti, tenendo conto che esistono organismi di tutela (per es. le pari opportunità) che lavorano in tale direzione e sostengono quindi il cambiamento, non già totalmente avvenuto ma senz’altro in atto. Tale processo storico-sociale in divenire ha portato la donna a “recuperare” la natura del suo corpo e a elevare ciò che riguarda corpo e comportamento, ad un livello di consapevolezza sempre più evoluta ed in evoluzione. Naturalmente, non vediamo questo percorso come privo di ostacoli; ricordiamoci che ancora oggi il corpo della donna è a rischio costante di violazione, e che purtroppo l’equilibro e il rispetto fra sessi deve ancora totalmente compiersi. Ed è per questo che le cronache sono ancora oggi specchio di una realtà di soprusi e abusi sulle donne.

Il corpo della donna come simulacro estetico, come centro dell’attenzione mediatica, come esposizione e richiesta di determinati canoni estetici, è centrale nelle nostre comunità attuali, e questo forse fa aumentare le preoccupazioni estetiche e il voler somigliare a modelli ideali; o comunque, tali modelli diventano un riferimento nella visione della propria femminilità esteriore. Natura e richiesta di canoni estetici particolari si intersecano nella vita della donna, che oggi ha dunque un altro compito: definire il sé corporeo in una rappresentazione sociale.

Il seno e il suo significato

Sarebbe ora di introdurre il significato del seno della donna nella nostra cultura e a quali vissuti emozionali e psicologici esso rimandi. Il seno, simbolo da sempre di femminilità, fertilità, maternità, è oltremodo rappresentato e vissuto come un attributo sessuale principe, con tutte le conseguenze che possiamo descrivere e immaginare. Immaginario collettivo, valori estetici, mezzo per propagandare abiti e moda, cosmetica, chirurgia plastica.

Come viene declinato nel vissuto personale tutto questo quando a una donna viene diagnosticato un tumore al seno? E quando dovrà essere fatto un intervento, più o meno demolitivo? E quando dovrà proseguire con terapie e/o ricostruzione?

Vissuto emozionale e psicologico della ferita estetica

Le considerazioni precedenti riguardo al seno quale simbolo sociocomunicativo del femminile, fa parte della esperienza di ogni donna, anche se ciascuna donna mutua queste rappresentazioni secondo il proprio modo di essere più o meno passivamente. Tutto questo non può non incidere sulla psicologia di una donna quando le viene diagnosticato un tumore al seno; per cui, oltre a dovere gestire la paura e le conseguenze della malattia si trova a fare i conti anche con il risultato estetico post-intervento. Per quanto possiamo decondizionarci dagli stimoli a cui siamo esposte nella nostra realtà sociale, siamo inserite in un ambiente che esalta la perfezione del corpo, che offre modelli ideali sempre più perfetti. Questo non sarebbe un problema e sarebbe solo un andamento dei tempi, se non fosse che ai canoni estetici spesso, in molte donne, si sovrappone l’autostima. Tanto più si è rispondenti ai canoni estetici previsti tanto più ci si sente adeguate.

E qui sta il problema! L’autostima è un concetto ampio, che integra diversi aspetti della vita di una persona: gli apprendimenti, le prove, le responsabilità, le capacità e la percezione individuale del proprio valore. L’autostima non può essere ridotta solo ad una corrispondenza con un’estetica idealizzata senz’anima. L’autostima è un concetto caldo, completo, un abbraccio che la persona si dà anche e soprattutto quando sbaglia; l’abbraccio che non si ferma certo lì, ma che consente di andare oltre l’errore, è il credere alla prismaticità della personalità e non alla statuarità.

 

intimità dopo la malattia

“Sono un prisma ho tante facce, alcune mi piacciono altre no, ma le accetto; alcune sono considerate dagli altri, altre no, ma non dipendo dalla loro approvazione; alcune corrispondono a degli ideali estetici, altre no, perché sono modi personali di essere; ogni essere è individualmente distinto dagli altri e io non sarò perfetta, ma sono unica”.

La sessualità: fra corpo e vitalità

Sembra naturale rispondere a queste domande: perché proviamo attrazione sessuale? perché il piacere sessuale è così diverso da altri piaceri? È una parte “naturale” della vita, un bisogno fisiologico come mangiare e dormire, vero. Eppure, è complicato e particolare nel vissuto di ciascuna di noi. Il concetto di base di Freud riguardo la sessualità è quello che la considera come un’eccitazione che proviene dagli organi, in particolare dalle zone erogene, da cui ne consegue un’eccitazione, che implica una necessità di essere scaricata. Il concetto di eccitazione e di scarica sono basilari nella concezione freudiana della sessualità. La scarica dell’eccitazione sarebbe l’origine del soddisfacimento; anzi, il soddisfacimento consisterebbe nella scarica. In questa concezione Freud fa riferimento a sostanze biochimiche, ancora da scoprire, responsabili di quanto accade a livello psicologico, quindi il concetto di libido e di pulsione. La psicoanalisi sta oggi abbandonando la teoria energetico-pulsionale a favore dell’”apprendere dall’esperienza” nella relazione con gli altri.

Gli studi sull’identità di genere di Stoller dimostrano che l’orientamento sessuale è “appreso” dalle relazioni con i genitori, così come qualunque altro apprendimento del bambino. La dimensione sessuale si origina dunque nelle relazioni della prima infanzia e ha a che fare con gli oggetti interni primari. Dunque, ha a che fare con l’intero sviluppo della mente. Quindi, esiste una dimensione istintuale ma la sessualità è anche appresa, come sappiamo osservando la sessualità animale. Inoltre, sappiamo che nella sessualità umana l’affettività si evidenzia come fondamentale. La dimensione sessuale è costituita da costruzioni psichiche che, memorizzate nello sviluppo di un individuo, e pur in perenne trasformazione, si sono stabilizzate come strutture costituenti la sua sessualità.

Il piacere, come dimostrato dagli studi della psicologia sperimentale di questi ultimi cinquant’anni, non dipende da recettori o da dispositivi neurofisiologici (come invece avviene per il dolore), ma è una qualità attribuita psichicamente dal soggetto ad una esperienza, esterna o interna. Il piacere sessuale non fa eccezioni rispetto a qualunque altra esperienza piacevole. Allora, occorre lavorare anche sulla sensorialità che evoca piacere e sull’apertura mentale e accettazione.

Una stessa stimolazione a seconda del contesto può essere erotica e non erotica, piacevole e spiacevole: uno stesso stimolo può essere erotico e piacevole, erotico e spiacevole, non erotico e piacevole, non erotico e spiacevole, a seconda del contesto. Dunque, non è lo stimolo che dà la qualità dell’eros, ma la codifica che noi facciamo dell’esperienza. Quanto soggettivamente esperiamo come sessuale è dunque tale per un significato che noi attribuiamo ad una data esperienza, e non per fattori biologici.

In questa prospettiva dobbiamo porre attenzione al fatto che l’evento “piacere” ci sembra semplice laddove invece non lo è affatto. È invece uno stato emotivo molto complesso e multidimensionale. Ogni comportamento e quindi anche quello sessuale è espressione di un confronto fra tendenze innate a perseguire determinate mete e le memorie di precedenti interazioni fra individuo e ambiente.

L’affettività si origina nell’infanzia a partire dal sistema motivazionale dell’attaccamento, che è finalizzato all’ottenimento di aiuto e vicinanza protettiva da parte di un’altra persona che per il bambino è la mamma. Il sistema si attiva e assume il controllo di emozioni e comportamento nelle situazioni di dolore, pericolo, percezione di vulnerabilità e protratta solitudine. È legato all’accudimento e al prendersi cura dell’altro. L’empatia deriva da questa interazione. Il sistema motivazionale interpersonale sessuale è finalizzato alla formazione e al mantenimento della coppia sessuale con il valore biologico della riproduzione e del sostentamento della prole. Ma il calore, l’accoglienza, l’empatia, la comprensione, sono fondamentali per la riuscita della relazione.

La ricerca scientifica e la speranza

Secondo una recente ricerca, l’insufficienza ovarica precoce associata ai trattamenti terapici è un fattore importante nella disfunzione sessuale in giovani donne sopravvissute al cancro al seno. Ricordiamo che il termine insufficienza ovarica precoce o prematura si riferisce ad una perdita della normale funzione delle ovaie prima dei 40 anni. Se le ovaie vengono colpite da questa condizione, non riescono a produrre livelli normali di ormoni estrogeni. L’infertilità è il risultato di questa alterazione.
“Il grande colpevole della disfunzione sessuale è il dolore vaginale durante il rapporto sessuale, che è la conseguenza della chemioterapia associata a menopausa precoce o disfunzione ovarica”, ha detto la ricercatrice Ann H. Partridge, direttore del programma di sopravvivenza cancro nell’ adulto presso la Harvard Medical School, a Boston.

“Molte giovani donne restano in silenzio, quando soffrono di disfunzione sessuale dopo essere stati trattate per il cancro al seno, non si esprimono, non ne parlano con nessuno. Le pazienti dovrebbero sentirsi in diritto di portare questa tematica agli operatori – medici, oncologi, psicologi, terapisti. Molte donne raccontano di essere grate per essere vive, e non vogliono affrontare la problematica ma neanche avere dolore con l’attività sessuale”, ha spiegato.
Il trattamento associato alla menopausa precoce può essere un duro colpo per le giovani donne, causando questa disfunzione sessuale, infertilità, e molte altre questioni relative alla qualità della vita, notano la Dott.ssa Partridge e i suoi colleghi.

Il loro studio, che è la più grande analisi del funzionamento sessuale durante il periodo post-trattamento in giovani donne con cancro al seno, è stato pubblicato online il 28 maggio 2016.
È certo che i trattamenti contro il cancro al seno continueranno a mettere le giovani donne a rischio per alcuni cambiamenti fisiologici e disfunzioni sessuali correlate.
Nel loro studio, la Dott.ssa Partridge e colleghi hanno cercato di identificare i fattori associati a peggiori risultati sessuali in donne giovani. Lo scopo finale era quello di identificare gli obiettivi di intervento e, eventualmente, ridurre al minimo il rischio di problemi a lungo termine, come ad esempio l’atrofia vaginale.

A tal fine, i ricercatori hanno esaminato 461 giovani donne sotto i 40 anni sopravvissute al cancro della mammella in premenopausa; si tratta di uno studio prospettico a cui le donne sono state chiamate a partecipare per aiutare se stesse e le altre. Le partecipanti hanno completato il questionario sul sistema di valutazione della riabilitazione del cancro (CURE). Le donne che hanno fatto chemioterapia continuativa e sperimentato amenorrea avevano la disfunzione sessuale più elevata.

Questo ci illumina sul fatto che il fattore psicologico non è primario, non è la volontà della donna a venir meno, non è solo la tristezza, la paura e la depressione che inducono la riduzione del piacere sessuale della donna operata di cancro, bensì l’origine è associata alle cure e alle conseguenze delle cure.
Quindi c’è la speranza che i nostri ricercatori possano riuscire a trovare delle sostanze che aiutino a ridurre le conseguenze sul piano fisico, delle terapie cliniche e/o salvavita. È chiaro che l’inibizione psicologica, la paura e la vergogna sono variabili importantissime, e che lavorare sull’elaborazione emotiva dell’evento aiuta ad affrontare meglio la vita e le relazioni, aiuta ad elevare la qualità di vita in generale. Resta però da considerare che la donna può essere vittima di una immane sofferenza fisica durante il rapporto sessuale post-intervento.